I miei Giorni a Baghdad by Lilli Gruber

I miei Giorni a Baghdad by Lilli Gruber

autore:Lilli Gruber [Gruber, Lilli]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-23T18:57:21+00:00


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Capitolo 16.

«AFIEH!».

Più Baghdad viene martoriata dai bombardamenti, più gli iracheni rimuovono la verità. Sul terreno, l’esercito di Saddam Hussein non può quasi

nulla contro l’invincibile armata angloamericana. Meglio allora concentrarsi su un’altra battaglia, altrettanto importante: la guerra di propaganda, combattuta su entrambi i fronti con tutti i mezzi a disposizione. Anche qui la supremazia americana è indubbia: dal messaggio ripetuto all’infinito sull’invasione come campagna di liberazione, alle continue notizie di una probabile morte del rais sotto le bombe, al presunto ritrovamento di un impianto di armi chimiche, ai milioni di volantini lanciati sull’Iraq per invitare i soldati ad arrendersi.

Ma anche gli esperti della comunicazione di Saddam se la cavano bene. E rispondono colpo su colpo, pur rasentando spesso il ridicolo nella loro martellante battaglia mediatica.

Impareggiabile primattore su questa scena è il ministro dell’Informazione, Muhammad Said al-Sahhaf, che organizza

briefing quotidiani per aggiornarci sulla situazione. In realtà, ha un solo compito: quello di smentire sistematicamente ogni notizia riguardante l’avanzata militare del nemico, anche quando i media di tutto il mondo, spesso con il conforto delle immagini, raccontano l’esatto contrario. È talmente grottesco nel negare l’evidenza più evidente, che diventerà ben presto un personaggio cult planetario.

Imperturbabile, in divisa verde oliva, basco nero appoggiato sulla fronte, pistola alla cintura, al-Sahhaf utilizza un linguaggio a dir poco colorito, ricco di epiteti e invettive contro l’invasore yankee. Nell’ordine, gli americani sono chiamati

«mercenari», «fuorilegge», «animali del deserto», «ghenga di assassini», «boss mafiosi», «ratti del deserto»; la Casa Bianca viene definita «un bordello».

Il sessantatreenne Muhammad è uno dei rari sciiti in un regime dominato dal clan sunnita di Tikrit di Saddam Hussein.

Militante del partito Baath sin dal lontano ‘63, è stato ambasciatore in India, alle Nazioni Unite e per due anni anche in Italia. Nel 2001 viene nominato ministro dell’Informazione.

Anch’io, come altri miei colleghi, ogni tanto ho il piacere di duettare con lui durante le sue conferenze stampa. La mattina del 4 aprile, quando i media annunciano l’arrivo delle truppe statunitensi all’aeroporto della capitale, a una quindicina di chilometri dal Palestine, al-Sahhaf nega con ostinazione e invita a non credere alle menzogne dei «criminali»

angloamericani. Mentre sta per andarsene, lo sfido chiedendogli il permesso - che da ventiquattr’ore ci viene negato - di andare all’aeroporto. Lui risponde con prontezza:

«Andate a verificare di persona se non ci credete». Ma bastano pochi minuti per scoprire che ancora una volta ha mentito, e all’uscita dalla sala il direttore del ministero, Uday al-Tai, si può anche permettere dell’ironia di dubbio gusto.

Rivolgendosi ai miei colleghi, dice: «Benissimo, adesso porto Lilli Gruber all’aeroporto; se non torna più, sapete che cosa è successo». Tutte le promesse di al-Sahhaf resteranno lettera morta: l’autorizzazione per recarci all’aeroporto non la otterremo mai.

C’è di buono che il ministro, pur essendo un gran bugiardo, è piuttosto simpatico. Per esempio, quando lo contattiamo per risolvere la questione di sette giornalisti italiani arrestati vicino a Bassora, dopo essere entrati clandestinamente in Iraq dal Kuwait, al-Sahhaf, con estrema gentilezza e solerzia, si occupa della loro sorte in un continuo braccio di ferro con le direttive



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